tram e trasporto pubblico a Roma
Io e Piero: come abbiamo scritto insieme e altre amenità
Nota. - In quanto segue il nostro amico sarà indicato con P., mentre altri personaggi che incontreremo saranno denotati con l'iniziale del loro cognome seguita da un asterisco; ciò non vale naturalmente per i personaggi di provata importanza, che saranno invece citati con il loro nome per esteso.
Capolinea di via Amendola, 15 febbraio 1980, ultima
corsa del tram dei Castelli;
P. è quello arrampicato sul tram, per chi
non lo riconoscesse (foto di R. Amori).
Il mio primo incontro con P. risale al 1975, in occasione di una gita col CIFI; successivamente ci incontrammo diverse volte per discutere di problemi ferro tramviari e fu così che poco a poco maturò in noi l'idea di scrivere qualcosa sul tram a Roma. E' da notare che fino a quel momento poco o nulla di sistematico era stato scritto sui trasporti urbani delle città italiane, se si escludono qualche breve monografia pubblicata per lo più su riviste specializzate e la famosa opera dell'Ogliari, un qualcosa che in 45 volumi (diconsi quarantacinque) avrebbe dovuto trattare del trasporto urbano in Italia, ma che alla fine era, più che un trattato sull'argomento, una sorta di minestrone di estratti da articoli di giornali e simili, infarcito di immagini fotografiche il più delle volte con didascalie errate.
Più mesi passarono in discussioni sulla possibilità di scrivere qualcosa di decente sull'argomento, cosa non facile per la scarsezza delle fonti che si riducevano ad estratti di articoli di giornale dei decenni passati, a copie di documenti fortunosamente trovati da P. nell'archivio FS e, soprattutto a ricordi nostri e di appassionati alquanto più avanti di noi con l'età, fonte quest'ultima sempre alquanto sospetta (più volte abbiamo constatato quanto fallace sia il ricordo di cose del passato); nessun aiuto c'era, al solito, da aspettarsi dall'ATAC, che se anche in possesso di ben forniti archivi di documenti e immagini, come avremmo avuto occasione di scoprire in seguito, al momento non sembrava poter esserci di nessun aiuto per gli usuali motivi burocratici uniti ad un assoluto disinteresse per qualsiasi ricerca storica.
Un giorno, io e P. andammo da un ingegnere dell'ATAC, nella sede di via Volturno, che ci aveva promesso alcune immagini di rotabili; l'ingegnere tirò fuori tre o quattro fotografie di tram in piccolo formato e ce le consegnò raccomandandoci di riportarle, trattandosi a dir suo di immagini rarissime e uniche. Uscendo, passammo non ricordo perchè in un altro ufficio al piano di sotto, dove così, parlando con un tale, venne fuori che eravamo alla ricerca di fotografie; bene, il tale, senza una parola, aprì un cassetto e fece "Servitevi!": il cassetto era letteralmente pieno di copie delle stesse fotografie che, al piano superiore, ci erano state date come uniche e preziose!
Ad un certo punto, nel mezzo delle discussioni su se e come scrivere il libro sul tram a Roma, P. se ne uscì con una proposta: mi ricordo ancora le sue parole, "e se scrivessimo" disse "un libro di ricordi tramviari?". In un primo momento l'idea parve buona: scrivendo di ricordi non necessita una grande attenzione a quello che si scrive, i ricordi, si sa, possono essere ingannevoli (e infatti lo sono), tutto sommato era meno impegnativo che scrivere un libro di storia; il guaio era, ce ne rendemmo conto subito, che con i ricordi, anche inventandosene di sana pianta (una tecnica che avremmo dovuto successivamente adottare di frequente), non si poteva pretendere di scrivere un libro; si rischiava di tirar fuori un opuscoletto magari divertente, ma che sarebbe stato dimenticato in quattro e quattr'otto; e poi ci sarebbe stato sempre quello che non accontentandosi delle chiacchiere avrebbe cercato fatti e dati precisi. La soluzione era comunque alle porte e fu trovata subito: avremmo scritto un libro di storia con quello che avevamo a disposizione, con un capitolo introduttivo basato sui ricordi.
Bene, ma ricordi di chi? del sottoscritto o di P.? E qui cominciarono le divergenze tra i due futuri autori, divergenze che non si sarebbero mai del tutto appianate: chi (il sottoscritto) immaginava i ricordi come una sottile traccia personale per narrare fatti tramviari e chi (P.) voleva utilizzare il capitolo quale sede per una ampia descrizione di ricordi di infanzia e di famiglia, che in molti casi solo lontanamente avrebbero avuto a che fare con il tram. Si giunse quindi ad un accordo: i capitoli di ricordi sarebbero stati due, ognuno scritto a modo proprio da un autore, una soluzione salomonica che peserà su tutti i libri che avremmo successivamente scritto con questo sistema, che portava ad una notevole differenza nello stile della narrazione proprio a partire dai primi due capitoli. Ma P. fu irremovibile.
A questo punto, se ben ricordo dovremmo essere verso il 1976-77, ci capitarono due colpi di fortuna.
Il primo fu che l'ATAC, incredibilmente, ci accordò il permesso di accedere alla propria fototeca, che contrariamente a quanto ci era sembrato di capire nelle nostre precedenti esplorazioni, conteneva un enorme quantitativo di positivi incollati su cartoncini oltre che di negativi; ci accordò anche il permesso di portarci a casa i positivi per riprodurli. Purtroppo non riesco più a ricostruire esattamente i fatti, che portarono ad una decisione dell'ATAC nei nostri confronti che già allora apparve incredibile (figuriamoci oggi, poi...). A darci una mano fu senz'altro l'ing. Gastone Rossetti, allora vice direttore tecnico dell'azienda, che ci avrebbe poi scritto anche la presentazione al volume; sarei anche tentato di dire per l'abilità diplomatica di P., maestro nel risolvere situazioni difficili; ma siccome il Rossetti era anche amico di un nostro collega appassionato molto attivo, il sig. DG*, non posso essere sicuro di quello che dico. Sta di fatto che successivamente, per giorni e settimane, il sottoscritto insieme ad altri appassionati si recò in via Volturno per prelevare pacchi di fotografie che, riprodotte, sarebbero poi state riconsegnate tutte alla fototeca.
Il secondo colpo di fortuna fu il casuale ritrovamento in una libreria di piazza San Silvestro, non ricordo da parte di chi ma forse del super attivo DG*, di una collezione di fotografie del trasporto pubblico di Roma, riprese negli anni 1936-40 da un tale, sembra un impiegato della motorizzazione, un antesignano dei maniaci del trasporto pubblico di oggi. La libreria chiedeva 50.000 lire per la collezione e fu quindi costituito un gruppo di acquisto per dividere la spesa, gruppo che risultò costituito dal sottoscritto, da P., dal sopra nominato DG* e dall'ingegnere B*, altro appassionato. Acquistate le fotografie, si passò subito alla loro riproduzione per poterle utilizzare.
Qui non guastano due parole su B*, per l'aiuto che ci dette sempre, non solo nella scrittura dei libri. Ingegnere civile, si era dedicato all'insegnamento e all'epoca dei fatti che sto narrando, in pensione, si dedicava a studiare, tra l'altro, appunto il trasporto urbano a Roma. Pignolo e riservato in maniera indescrivibile e bravissimo disegnatore, dalle poche immagini fotografiche di tram allora a disposizione, era riuscito a tracciare delle tavole a colori di vari modelli di motrici e rimorchi romani, precise fin nei minimi particolari, delle quali era però particolarmente geloso al punto di dire che dopo la sua morte avrebbero dovuto essere distrutte. In barba a questo letale proposito, P., mostrando ancora una volta la sua abilità diplomatica, era riuscito ad averne una ed è l'immagine pubblicata in copertina della prima edizione del Tram a Roma, la motrice a due assi verniciata in bianco e rosso, come era stato fino al 1927 il colore dei tram municipali. B* è morto nell'aprile 2009, ma i suoi disegni non hanno fatto la fine da lui prevista; in parte sono finiti in possesso di P., credo, mentre altri sarebbero andati ad altre persone.
Ma la vera passione di B*, alla quale lavorò tutta la vita, era stata una ricerca sulle locomotive a vapore preda bellica che hanno fatto servizio in Italia durante il secolo XX; in contatto con molti ricercatori europei, aveva scritto un poderoso volume sull'argomento che lasciò in eredità a P., con la speranza che potesse essere pubblicato; speranza vana, perchè convertire in un libro mille e più pagine dattiloscritte, corredate da innumerevoli fotografie e disegni, è uno sforzo, anche finanziario, che nessuno di noi si sentirebbe di affrontare. Oltre a ciò, il libro di B* è scritto con pedanteria ingegneristica, prendendo addirittura le mosse dalle leggi della termodinamica e addentrandosi poi in tutti i tecnicismi delle macchine a vapore, argomenti che potrebbero oggi interessare solo una limitata cerchia di lettori.
Infine, è merito di B* l'aver avviato il sottoscritto alla tecnica fotografica di sviluppo e stampa, in modo da poter procedere in proprio alla riproduzione delle fotografie trovate (se avessimo dovuto ricorrere a studi fotografici esterni...).
Iniziammo quindi a scrivere il libro, cominciando, ognuno per conto proprio, dai capitoli di ricordi, che poi ci scambiammo per commenti e correzioni e qui quanto scritto da P. non mi convinse per niente: non solo aveva infarcito il testo di fatti ed episodi familiari o comunque assolutamente estranei all'oggetto del libro, ma, seguendo una sua mania che lo avrebbe poi sempre accompagnato, aveva costantemente indicato nome e cognome dei vari personaggi che prendevano parte alle azioni da lui raccontate, una cosa che, oltre che del tutto inutile per il lettore, mi apparve subito di pessimo gusto.
Ecco come un qualsiasi fatto, ad esempio l'incontro con una interessante motrice tramviaria, sarebbe stato descritto nei due stili. Nello stile del sottoscritto: "Un giorno, sulla linea 3 in via Bertoloni, vidi in servizio la motrice 241, una delle poche ad assi radiali ancora funzionanti..." e nello stile di P.: "Un giorno, mentre transitavo in via Bertoloni sulla Vespa 150, che mio padre mi aveva regalato per aver brillantemente superato l'esame di terza liceo, con la mia cara amica XX per recarci da un compagno di scuola, il caro YY, col quale dovevamo risolvere un difficile esercizio di matematica assegnatoci dall'ottima professoressa ZZ, vidi in transito sulla linea 3 la motrice 241 ecc.". Nel primo caso il lettore interessato al tram si rende conto subito che, ancora in quell'anno, la 241 era in servizio; nel secondo caso si deve sorbire la presentazione della Vespa 150 e di XX, YY e ZZ, signori per i quali non nutre nessun interesse, per arrivare alla 241 in servizio (se gli basta la pazienza).
Questa sua mania di nominare amici e parenti lo portò in seguito ad essere oggetto di critiche più o meno scherzose e talvolta non proprio benevoli, critiche alle quali, del resto, lui non dava alcun peso. Eccone un esempio. Nel Casentino, non lontano dalla linea Arezzo-Stia della ex LFI (1), viveva un parente di P., il generale M*, molto citato nei ricordi dello stesso P.; la LFI, in contrasto con l'ottuso e burocratico ambiente delle FS, era una società veramente aperta a tutti, ogni visitatore vi era ben accolto e si facevano in quattro nel mostrare impianti, rotabili, officine ecc. (una volta tirarono fuori da un deposito una elettromotrice per mettercela in posa fotografica, domandandoci se preferivamo alzato il pantografo davanti o quello dietro!) e le sue linee erano di conseguenza frequente meta di appassionati. In queste visite, ad un certo punto, era divenuto quasi obbligatorio che qualcuno esclamasse "State attenti, che forse il generale M* vi controlla col cannocchiale!".
Inutile dire che ogni tentativo di far recedere P. dalla sua esposizione di nomi fu vano.
Il libro uscì nel novembre 1979 ed ebbe subito un successo tanto notevole quanto immeritato. Notevole, perchè nella descrizione della rete, nella presentazione dei rotabili ed anche nei ricordi, molti ritrovarono pezzi della loro infanzia o della loro giovinezza, nei tram utilizzati per andare a scuola o per le gite domenicali e poi occorre osservare che i romani furono sempre affezionati ai loro tram (quanti se li ricordavano durante la guerra!), anche se questo affetto negli ultimi tempi è venuto sempre più scemando fino a raggiungere l'attuale indifferenza o addirittura ostilità nei riguardi di ogni mezzo di trasporto pubblico; ma la colpa non è stata dei romani, ma di chi ha permesso il continuo e completo degrado della rete tramviaria romana (ma questo è un altro discorso). Successo immeritato, perchè a guardare bene il libro si presentava piuttosto male, per causa nostra, di P. e mia, che avevamo forse trascurato la correzione delle bozze fidando troppo nell'editore che invece si era rivelato poco esperto; basti dire che il testo era letteralmente pieno di maiuscole indebite, che i nomi propri che avevo richiesto in maiuscoletto erano stati invece stampati in grassetto, che la riproduzione delle fotografie era scadente, che l'indice sembrava composto a mano e così via. Ma i lettori hanno guardato, almeno una volta, di più al contenuto che alla presentazione.
Una seconda edizione del libro apparve nel 1999, migliorata ed aggiornata nel testo e nella presentazione, comportante due novità: P. si era finalmente convinto che non era il caso di insistere con i ricordi come si era fatto fino allora e gli stessi, opportunamente alleggeriti di molte vicende familiari e finalmente spogliati dai nomi propri, furono inseriti qua e là nel testo, differenziandoli con una opportuna scelta del carattere; così, se al lettore non interessavano i ricordi, poteva saltarli a pie' pari. L'ATAC fu ancora una volta gentile nei nostri confronti, con una presentazione del libro scritta dal direttore di esercizio ing. Antonio Pendenza. La seconda novità fu che nel testo fu compreso il contenuto di una breve monografia da me pubblicata anni prima sulla storia del filobus a Roma, così che il titolo del libro passò a Tram e filobus a Roma.
Passarono gli anni e P. si convinse finalmente che l'artifizio dei ricordi, che tanto aveva contribuito al successo iniziale del libro, aveva fatto il suo tempo, in ciò anche consigliato dalle voci critiche, molte anche in forma ironica, che cominciavano a circolare sul contenuto dei nostri libri e di conseguenza, nella terza edizione del libro uscita nel 2008, i ricordi finalmente scomparvero. Questa terza edizione risultò più un nuovo libro che una riedizione del precedente, soprattutto a causa del risultato di una delle solite azioni diplomatiche di P.: l'ATAC ci dette il permesso di rovistare in una sottostazione elettrica abbandonata, in via Baccina, nella quale era stata accumulata una gran quantità di documenti aziendali. Come P. fosse riuscito nell'intento, è ancor oggi un mistero, ma fatto sta che a partire dall'inverno del 2006 io, P. ed qualche altro appassionato cominciammo a cercare tra le cartacce là accumulate da decenni.
In un primo momento ci sembrò, con una certa delusione, che i documenti riguardassero solo questioni di personale e amministrative, ma ben presto scoprimmo quello che veramente si poteva definire un pozzo di notizie: la collezione degli ordini di servizio della SRTO e dell'azienda municipale dal 1909 ai giorni nostri, rilegati in volumetti anno per anno e scoprimmo subito che con una attenta opera di selezione da quei volumetti si sarebbe potuto ricostruire non diciamo tutta la storia delle reti tramviaria e filoviaria, ma certamente una buona parte di quella. Il problema che immediatamente si pose fu come raccogliere le notizie, visto che la copiatura a mano delle stesse sarebbe stata un lavoro improbo e d'altronde ci era stata consentita, sì, la consultazione dell'archivio, ma non l'asportazione dei documenti. Ci venne in aiuto la solita diplomazia di P., che con forbiti discorsi e dotte argomentazioni convinse la graziosa ragazza che era stata eletta dall'azienda a nostra custode a chiudere un occhio se andando via ci portavamo dietro un certo numero di volumetti, restituendoli poi la volta successiva. Così potei passare allo scanner le pagine interessanti degli ordini di servizio, costituendo un prezioso archivio.
Un particolare ringraziamento lo dovremmo dare ai compagni di una sezione di un partito socialista (non so quale), che aveva sede in uno scantinato in prossimità della sottostazione; molti documenti trovati al di fuori degli ordini di servizio, che spesso si riducevano ad un solo foglio, furono fotocopiati con le loro macchine. I compagni non vollero alcun compenso e noi li ringraziammo con la promessa che avremmo inviato loro una copia del futuro libro; non ricordo se la promessa fu poi mantenuta. Dobbiamo anche citare un nostro collega, K*, che, mentre noi consultavamo gli ordini di servizio, si dedicava all'esplorazione dei documenti delle società di assicurazione, dai quali si ricavarono molte interessanti notizie sulla consistenza, in alcuni anni, del parco dei rotabili.
Circa i volumetti degli ordini di servizio, la nostra onestà nel restituirli dopo la scannerizzazione fu del tutto inutile: anni dopo, i locali di via Baccina, come usuale abbandonati dall'ATAC, furono allagati durante un temporale e non so quanto si sia salvato di quello che c'era.
Il libro fu quindi completamente riscritto con le notizie ricavate dai documenti di via Baccina ed è chiaro che apparve del tutto diverso dalle due precedenti edizioni, ma la cosa più importante è che le notizie date dal libro, una volta tanto, non si basavano su ricordi, chiacchiere o articoli di giornale, ma su documentazione di certa provenienza; venne fuori un volume di quasi 700 pagine, tra tram e filobus.
Con l'uscita, nel 2008, della terza edizione di Tram e filobus finì la collaborazione tra me e P. nello scrivere libri; non solo, ma sulla nostra amicizia cominciarono a proiettarsi alcune ombre. Il perchè è presto detto: la causa fu la mai sopita mania di P. a infilare ovunque fatti, storie familiari e citazioni, magari accompagnate da sperticate lodi di questo o quel personaggio, il più delle volte un illustre incognito.
Mi spiego meglio: P., con i suoi primi scritti, si era fatta una meritatissima fama di valido scrittore di cose ferroviarie, producendo monografie su linee e servizi dei quali poco o nulla si sapeva, tutte scritte con rigore e soprattutto da esperto ferroviario e basterebbe citare i primi libri che scrisse, quello sulle ferrovie secondarie di Arezzo e l'altro sulle ferrovie della Sicilia sud orientale, come anche l'opuscolo sulla Foggia-Lucera.
Quando, nel 2007, preparandoci a scrivere la terza edizione del libro, P. rinunciò finalmente ai famosi ricordi, mi disse anche che lo faceva perchè aveva in mente di scrivere un libro di soli ricordi; contento lui, pensai io. Viceversa il libro di soli ricordi non vide mai la luce o almeno nella forma nella quale lui me ne aveva accennato; in sua vece, P. inizio a produrre (è l'unica parola adatta) una incredibile serie di libelli di piccolissime dimensioni, una decina di pagine o poco più, di contenuto pressochè nullo: qualche fotografia, molte riproduzioni di cartoline illustrate, un po' di chiacchiere sui soliti argomenti e, naturalmente, una serie di panegirici di questo o di quello, di chi gli aveva fornito importanti notizie o immagini, spesso con fotografie degli interessati; in molti libretti si trovavano intere pagine di riproduzioni per esempio di biglietti e di tessere tramviarie o ferroviarie o di altri documenti di nessun interesse.
Il peggio era che spesso trovava il modo di infilare, tra tutte queste banalità, qualche accenno a questioni tecniche di una certa importanza sulle quali ci interessavamo al momento: così capitò che trovassi un giorno, in uno dei tanti libretti e tra una cartolina illustrata e l'altra, l'esposizione di una sua teoria, subito rivelatasi errata, sui motivi del mancato traino di rimorchi da parte di alcune antiche motrici municipali, un argomento dei più misteriosi della storia del tram a Roma, del quale ancor oggi si discute senza aver trovato una soluzione soddisfacente.
Più e più volte gli contestai questi fatti, anche con frasi un po' brutali del tipo "perchè vuoi continuare a sputtanarti?" L'unica risposta che sempre ottenevo era che l'editore voleva pubblicare, al momento, solo libri piccolissimi, una giustificazione un po' singolare, dal momento che nessuno lo obbligava a scrivere libri. Infine, qualcuno potrebbe chiedermi: ma a te che cosa te ne fregava di quello che voleva scrivere P.? Me ne fregava, eccome: dopo una amicizia e una collaborazione durate trent'anni, vedere quelle pubblicazioni da quattro soldi in giro con il suo nome, magari affiancate ai primi libri ferroviari che ho più sopra citato, mi dispiaceva.
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(1) LFI, La Ferroviaria Italiana, società che gestiva le due linee Arezzo-Stia e Arezzo-Sinalunga.
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rev. A1 11/09/21